Le cicale graffiano il canto di vita e riempiono il colle; sospeso nel mondo delle ombre Jules si chiede se sanno che non vedranno la fine dell’estate. Il rigare dell’erba sulle sue caviglie scoperte, le schegge del sole che si intrufolano e corrono fra gli spazi delle foglie, solo per cadergli nella coda dell’occhio, il calore che gli scivola sulla pelle e lascia dietro di sé rugiada di sudore. Le dita sottili della regina passano in movimenti ritmici sulle sue guance, sul collo, sul petto per farlo addormentare, le unghie incidono sulla fronte per tenerlo sveglio. Le ancelle sono più in giù lungo la collina, una macchia di tempera bianca e azzurra e gialla, sedute pigiate le une alle altre, silenziose, come fossero un servo unico; discendono tutte da cavalieri. “Dormi, Jules?” domanda la donna, le unghie che gli scivolano dietro l’orecchio, pizzicando finché non compaiono i brividi, facendogli inarcare il collo. I sogni delle regine, gli dice, non sono come quelli degli altri uomini. Sono segni, visioni che parlano di sovranità. Non basta rivendicare un paese, bisogna controllarlo, e renderlo sicuro, e questo da suo padre, e dal padre di suo padre prima di lui, fino a tornare alla leggenda, che è più reale della storia. Ci si forgiano paesi, con miti e sogni. “Come sono i sogni degli uomini comuni, Jules?”
– Maria Laura Di Giovanni –