Il vecchio Gabe sedeva sulla sedia di vimini e dal patio di legno guardava verso il bosco più avanti. Era in attesa del momento in cui il gufo sarebbe comparso. Con l’arrivo del buio l’aria si caricava di elettrica attesa. I rumori del giorno e i versi degli animali si acquietavano in angosciante silenzio con il calar del sole, e Gabe poteva sentirlo. Lui era diverso da quei negri di campagna pensò, era diverso da negri come Hulter. Una mattina molto calda della settimana precedente, nel tornare alla sua sedia con il vassoio della colazione, aveva visto Hulter chiedere con voce da adulatore un’altra porzione di gelatina alla signora Willerton. Lei aveva assunto la solita espressione di rimprovero e avevano riso insieme. − Anche oggi non vieni a giocare con noi, Gabe? − La signora Willerton se ne stava lì, a metà tra la sala principale e l’ingresso del patio, con il suo camice e il berretto. Aveva sempre un ricciolo di capelli rossi che usciva e le cadeva sulla fronte, che in questa stagione era spesso bagnata di sudore. Quando era costretta a fare le scale per controllare le camere, il primo gradino era sempre seguito da una pausa e da un “che Dio mi aiuti”. Portava lo stesso colore di rossetto della sua Mary, anche se il risultato era molto più sgradevole sulla pelle bianca della signora Willerton. Gabe non rispose. Potrebbe andarsene al Diavolo, invece che stare lì impalata con quel sorriso idiota, pensò il vecchio Gabe, che aveva la gola stretta da una morsa. Se fosse rimasta lì ancora avrebbe visto i suoi occhi diventare umidi, e lo avrebbe guardato con aria compassionevole. Ormai accadeva sempre più spesso che, quando qualcuno gli rivolgeva la parola, il vecchio Gabe sentisse quel nodo stringergli la gola. Erano successe tante cose negli ultimi cinque anni, e forse tutto questo avrebbe potuto evitarlo, pensò. Avrebbe potuto insistere e forse il dipartimento lo avrebbe lasciato in un centro in città. La sua Mary saprebbe cosa fare, aveva sempre deciso lei il da farsi. A partire dalla loro casa nel Queen’s alla carriera di Gabe. La rivede ancora, quando chiude gli occhi, sul tavolo della veranda, con gli occhiali portati appena appoggiati sul naso, a leggere. La trovava sempre così ogni sabato mattina, sveglia dall’alba per cucinare lo stufato. Lo avrebbe salutato con un “Buongiorno, sergente”. La signora Willerton era ancora dietro di lui, davanti all’ingresso del patio, e di nuovo gli occhi diventavano lucidi.
– Umberto Losi –